martedì 1 luglio 2008

Il passo Kyber 4/9/1976



Tornammo a Kaboul allo stesso hotel. La voglia di andare verso oriente ci spinse all’ambasciata indiana per ottenere il visto d’ingresso; Ci svegliammo di buon mattino e, con pazienza, ci mettemmo in coda. La fila era lunghissima; dopo poco rinunciammo al passaggio in India optando per una permanenza in Afghanistan, con una puntatina in Pakistan.
La sonda Viking atterrava su Marte il 3 sttembre del '76 e noi ne eravamo all’oscuro!
La ricerca di un mezzo di trasporto per il Pakistan ci portò alla scelta dettata dal risparmio; scegliemmo un bus locale (sedili senza imbottitura, rigidi, con trasporto promiscuo di uomini, animali e cose) che, per una cifra circa la metà di altre compagnie, ci prometteva di portarci a Peshawar in tempi ragionevoli. La strada scorreva lentamente con compagni di viaggio, afgani e pakistani, segnati dalla fatica avvolti nelle loro ampie ma funzionali vesti . I posti di blocco erano sempre più frequenti e i doganieri si accanivano particolarmente con i locali che spesso venivano fatti scendere dal bus a bastonate, con le loro povere merci, in modo definitivo e verosimile sequestro del misero sacchetto di granaglie (credo fossero tali, a giudicare dalla forma che prendeva il sacco!)
Infine giunse il confine e con nostra grande, prima sorpresa e poi stizza, scoprimmo che il bus era giunto al capolinea ed il biglietto pagato si riferiva a quella tratta percorsa e che per giungere a Peshawar era necessario attenderne un altro e pagare il relativo biglietto in rupie pachistane: Il necessario cambio era 85,07 lire per una rupia. Tirammo fuori dai nostri rifugi segreti i dollari poco più che necessari alla bisogna e li cambiammo in rupie. Per fortuna il bus non si fece attendere a lungo e regolando il prezzo del biglietto puntammo verso il Pakistan.
Il passo Kyber fu uno sballo, una meraviglia continua mista a paura; i fortini abbandonati si presentavano lungo la strada memori di antiche battaglie; famosi condottieri quali Alessandro Magno, Tamerlano erano passati di là e gli inglesi, tentarono inutilmente di occupare il territorio afgano attraverso il Kyber. Il bus correva rigidamente sul bordo sinistro della strada dandoci costantemente l’impressione di precipitare lunghi i profondi dirupi. Ogni tanto, tribali camminavano lungo i bordi della strada e il divieto di fotografare le donne si presentava frequentemente.
La pianura e il verde del Pakistan si mostrarono al nostro sguardo in maniera abbagliante per l’intensità dei colori, l’abbondanza d’acqua, le pozze ripiene di bufali e la morfologia degli abitanti; notai la presenza di numerosi longilinei con la testa relativamente piccola, poliomielitici su carrettini artigianali che rotolavano su cuscinetti a sfera come quelli che vedevo da bambino in quel di Randazzo, costruiti dai ragazzi più intraprendenti che, comunque, che io sappia, non sono poi diventati ingegneri automobilistici! Alla prima stazione di sosta del bus ebbi una piacevole sorpresa: alla Sprite, bevanda onnipresente, si aggiunse un piacevolissimo succo di mango di produzione nazionale che divenne la mia bibita ufficiale e mi accompagnò per tutto il viaggio in Pakistan.

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