giovedì 3 luglio 2008

Lahore I^ parte


E perché non Lahore! Lahore al confine con l’India. La solita polverosa stazione dei bus ci fece trovare un tipo che, con insistenza, ci proponeva una delizia di comodità alberghiere nell’hotel da lui sponsorizzato. Dopo un minimo di resistenza e in mancanza di alternative ci dicemmo: “Why not”? E seguimmo la nostra guida improvvisata che ci portò all’hotel situato nella periferia della città.
Le due rampe di scale ci portarono alla hall dove un giovane muscoloso pakistano con fare accattivante ci guidò in una delle poche camere che si aprivano direttamente nella hall, mostrando con orgoglio un grosso ventilatore posto sul soffitto che avrebbe dovuto alleviare l’afa opprimente che ci perseguitava dall’ingresso nel Paese. Il risultato dell’azione del ventilatore era sì quello di muovere l’aria ma, allo stesso tempo, sollevava l’odore di lercio delle lenzuola. Il tipo si prodigava a renderci il soggiorno piacevole offrendoci da fumare e proponendoci dei massaggi rilassanti. Rifiutammo gentilmente programmando per l’indomani una fuga da quel posto facendo trapelare l’intenzione di tornare a Kaboul; in realtà la nostra intenzione era quella di cambiare sistemazione in un posto meno equivoco e più pulito. La cosa non fu di facile attuazione perché le nostre finanze erano basate su un unico ingombrante centone di dollari americani che non volevamo cambiare prima in rupie pachistane per poi ricambiare in afgani e poi in rials iraniani e poi in lire turche e in dracme greche e infine lire italiane! Ci venne la brillante idea di chiedere aiuto al consolato italiano, chiedendo un semplice cambio in tagli più piccoli. Dopo lunga attesa ottenemmo un netto rifiuto e così sconsolati (appunto!) tornammo nel lercio hotel a tentare una mediazione per saldare il conto e avere il resto in dollari. Il tipo muscoloso ci fece pagare il corrispettivo di 20 dollari e con nostra felicità ci rifilò 80 profumati dollari in banconote da 20. Dopo i convenevoli, eravamo diventati degli amiconi; ci salutammo con la promessa di rivederci un giorno e con l’augurio di un buon viaggio per Kaboul; e sì Kaboul; avevamo detto Kaboul. Il tipo in un eccesso di cortesia insistette per farci accompagnare alla stazione dei bus per Kaboul da un ragazzo. Le nostre intenzioni erano quelle di restare in città per cui con uno stratagemma lasciammo credere che avremmo acquistato dei viveri per il viaggio ed avremmo preso il nostro bus. Quando fummo certi che il ragazzo si era allontanato, andammo diritti verso il nuovo albergo che avevamo adocchiato in mattinata.

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