giovedì 29 maggio 2008

Il viaggio fino a Erzurum



Giungemmo nell’altopiano di Erzurum, nell’est dell’Anatolia, dopo un viaggio infinito che partiva da Istanbul. Il bus era moderno, con comode poltrone e una cantina per le bibite fresche che il ragazzo distribuiva a cadenze fisse, intervallate dall’aspersione di un liquido profumato che veniva versato sulle mani dei passeggeri adulti e sui capelli dei bambini con immediato ristoro. Dopo aver attraversato tutta l’Anatolia, fermandosi giusto il tempo per una breve sosta alla stazione di Ankara, il bus si fermò davanti un cadente albergo dove avremmo passato la notte e da dove saremmo ripartiti l’indomani con destinazione Persia. Era la prima tappa, forse la più dura!
La storia e le bellezze della città passarono inosservate: mi resta soltanto il ricordo della stanchezza del viaggio, la parca cena con riso, kebab e salsiccie sotto il cumulo di riso bianco e melenzane lunghe al pomodoro.
Ci sfuggì certamente la storia millenaria della città risalente al 4000 AC, con le numerosisime dominazioni che vanno dai Persiani ai Parti, dai Romani ai Bizantini, dagli arabi ai Mongoli fino ai Turchi, le mura bizantine ancora intatte e le bellezze archeologiche custodite al Museo di Erzurum.
Nulla ricordo della città selgiuchida e della grande moschea costruita nel 1179 con le sue numerosissime colonne che dividono le sette navate, il doppio minareto e la Madrassa del 13° secolo. Il mio ricordo si ferma alle strade polverose, ai venditori d’acqua alle fermate degli autobus servita in bicchieri di rame, sempre gli stessi, per i diversi avventori.
Non riuscimmo a vedere la tipica pietra semipreziosa locale denominata Oltu, ricavata dalle centinaia di miniere della zona, di origine fossile, che ha la caratteristica di essere morbida appena estratta e dura dopo l’esposizione all’aria: non ne conoscevamo l’esistenza.
Dopo una notte in cui recuperammo le forze, l’indomani all’alba ripartimmo con un nuovo pulmann. La sagoma del famoso monte Ararat, denominato Urartu dagli ebrei e Agri Dagi dai turchi, con i suoi 5165 metri di altitudine, si stagliava all’orizzonte, la cima innevata, al confine con l’Armenia e la Persia; la leggenda vuole fosse il luogo dove si fermò l’arca di Noè. Storia o leggenda, a noi bastava crederlo e sognare ad occhi aperti le numerose coppie di animali che si affollavano sull’arca, come le persone e gli animali che in quel momento affollavano quell’autobus che si avviava verso oriente e, per noi, verso l’ignoto. Ci lasciammo a destra il mitico lago Van senza nemmeno vederlo e giungemmo in Persia con destinazione Tabriz.

Era il 18 agosto del 1976

venerdì 23 maggio 2008

Istanbul



La città ci accolse con la sua aria cosmopolita. Risalimmo la strada che dalla stazione giungeva alla chiesa di Santa Sofia e la Moschea blu. Trovammo alloggio in un lercio hotel nei pressi del “pudding shop”. Il Pudding Shop era il nomignolo del "Lale Restaurant" nel cuore di Sultanahmet divenuto il punto di ritrovo e di partenza per tutti gli hippies o presunti tali, lungo la via dell’oriente.

Mentre sorseggiavamo un chai, chiesi ad una ragazza che tornava dall’oriente, com’era oltre il ponte. Mi rispose : “alla cannella” riferendosi al the piuttosto che ai luoghi che ci accingevamo a visitare! Lasciai perdere, anche perché il nostro inglese era meno che basico: cominciavamo ad imparare da zero! Quanto costa? E’ troppo caro! Avete una camera per due? E così discorrendo…
Ci fermammo qualche giorno giusto per prendere confidenza con le novità della nuova situazione, sondare le possibilità che erano offerte nella bacheca degli avvisi, le proposte delle agenzie di viaggi e così via.
Le proposte partivano da viaggio per Katmandu in magic bus , durata 15 gg, a quelle ben più abbordabili, con comodi bus con servizio bar a bordo, che ci avrebbero portato ad Erzurum, capoluogo dell’Anatolia orientale, alla ragguardevole altitudine di 1950 m slm. Da lì avremmo potuto proseguire con destinazione Persia e oltre.
Optammo per questa soluzione in modo da assaporare il viaggio e tastare le nostre capacità di sopportare un viaggio alla scoperta dell’ignoto. Ci ripromettemmo di visitare Istanbul, già Costantinopoli, già Bisanzio al ritorno, se ci fosse stato un ritorno!
Eravamo già a fare i conti con il secondo cambio , lire turche/dollari e traduzione in lire italiane. Un tentativo maldestro di cambio in nero ci riportò alla cruda realtà. Riuscimmo a non farci imbrogliare da due tipi loschi che tentarono di fregarci quelle poche banconte che avevamo. Dopo ci sentivamo più forti.
Partimmo e l’attraversamento del ponte sul Bosforo (allora era unico) mi dava un certo brivido: passavamo in un sol balzo dall’Europa all' Asia.

venerdì 16 maggio 2008

Prima tappa: da Catania a Istanbul



CATANIA 10/8/1976 Km 0
Il giorno della partenza ci vide partire da P.zza Borgo (meno nota come p.zza Cavour) con un autobus urbano che non arrivava mai; gli orari di passaggio degli autobus non erano rispettati, e non lo sono tutt’ora; anzi non esistevano affatto e tu aspettavi fino a quando era necessario. Erano più frequenti le macchine abusive, le multiple Fiat; non quelle del terzo millennio ma quelle degli anni sessanta senza il muso e affusolate in coda, il massimo dell’antitesi dell’aerodinamicità, verniciate in verde e nero, con gli strapuntini, con un carico umano di 10 persone trasportate per un biglietto (?) da cinquanta lire, equivalente al prezzo del biglietto dell’autobus; il conducente , il capo, pressato dalla sua mole e dallo stretto posto di guida, mostrava la mano aperta per indicare la linea coperta dal tragitto, la 5, anche se, ormai da un pezzo, nelle ristrutturazione delle linee la 5 era diventata 31: troppo complicato cercare di mimarlo ! Ma stavolta la nostra linea era la 29 che saliva alla Barriera. Aspettammo il bus. Appena giunto, zaino in spalla, l’avventura iniziava. In men che non si dica ci portò all’imbocco dell’autostrada. L’attesa non la ricordo lunga. Giungemmo rapidamente a Messina lasciandoci sulla sinistra la maestosa visione dell’Etna attraverso la Valle del Bove; e poi dopo lo stretto su per la Calabria e la Puglia. Ricordo, passammo da una Lamborghini 5 litri ad una Cinquecento Fiat con la sensazione di essere fermi sulla strada.
Giungemmo a Brindisi dove il 12/8/76 ci imbarcammo su una nave dell’Adriatica, biglietto passaggio ponte, ovviamente!La navigazione procedette senza problemi e dopo aver intravisto le coste dell’Albania, giungemmo a Patrasso dove un treno ci portò a Istanbul: era il 15 agosto del ’76 e il profumo d’oriente cominciava a farsi sentire.

martedì 6 maggio 2008

I protagonisti del viaggio

Foto: la mitica 5^B

Io e Max avevamo concluso il 2° anno rispettivamente della Facoltà di Medicina e di Ingegneria.
Passai la mia infanzia, dai quattro ai dodici anni, con la nonna materna; completati gli studi in seminario, viveva con noi lo zio prete .
E’ stata una infanzia caratterizzata da una educazione che adesso giudico repressiva, sia in casa che a scuola; in casa volavano ogni tanto ceffoni, a mio parere non giustificati e a scuola, una istituzione salesiana a Randazzo, vivevo di punizioni; in realtà osservavo le tremende punizioni dei miei compagni, (io ero sempre ligio al dovere e alle disposizioni,) rei di parlottare in sala studio o di rientri in collegio con lievi ritardi. Qualcuno adesso fa il medico e qualcuno il critico d’arte di fama internazionale! Le punizioni spaziavano da ripetuti sonori ceffoni a due o tre dita (don Messina), per gli interni, a ripetute scampanellate sul cranio (don Cutrufelli), per gli esterni, a permanenze in ginocchio nell’ora di pranzo o di ricreazione, per entrambi! Altri metodi educativi! Qualcuno (Sergio) ricambiava con lanci del calamaio, c’erano ancora i calamai ed i pennini, all’indirizzo dei superiori! Ricordo anche, per altri meriti, il signor Reina, laico, a cui è legato il ricordo della prima gita a M. Spagnolo, che poi diventerà la meta preferita delle mie escursioni in montagna; ricordo anche la perdita della grossa anguria affondata nella cisterna attigua alla casermetta , dopo essersi slegata dall’improbabile cappio a cui il signor Reina l’aveva assicurata! Ancora don Zocco magrissimo insegnante di italiano, latino, storia, geografia e applicazioni tecniche con zigomi sporgenti da far paura , da sindrome lipodistrofica in tempi non sospetti!
Sono tornato recentemente (nel 1998!) a monte Spagnolo con Pippo, la sicura guida, e i ragazzi, in un giro che tutti ricordano ancora con piacere; gli alberi, che erano stati messi a dimora trent’anni prima erano diventati un enorme bosco di conifere che si intrecciava con la faggeta secolare, in una tavolozza virtuale, ricca di infinite sfumature !
Vivevo a Randazzo un bellissimo borgo medievale, a nord dell’Etna, che allora contava ben 15.000 abitanti, bagnato dal fiume Alcantara, che nato sui Nebrodi, si tuffava dopo cinquanta chilometri, nel mare Jonio, dopo aver superato delle spettacolari gole basaltiche .

Io non ero conosciuto come Angelo ma come il nipote di padre Ignazio e tutt’ora, nelle rare visite, vengo ancora presentato come: “il nipote di padre Ignazio, diciamo” anche se padre Ignazio non era più prete e adesso che scrivo, non è più tra noi.
L’abbigliamento era tipico ed oscillava da abiti usati acquistati “a fera ‘o luni” a poche centinaia di lire a jeans attillatissimi , il cui modello di riferimento era Paolo. In realtà , pur usandoli, preferivo quelli più ampi e comodi magari con tante cerniere. Anche le camicie erano o attillate o enormi, a volte militari; i capelli e la barba lunghi , con taglio fai-da-te semestrale con occhiali rotondi obbligatori. Mi piaceva quel look e occasionalmente usavo un orecchino a clip, senza buco, alla Corto Maltese nascosto tra i capelli.
Gli studi procedevano bene e avevo superato gli esami del II anno e iniziato il III. La strategia di studio mi portava a studiare tutto l’anno, dalle 7 alle 21, dare esami fino ai primi di luglio e poi pausa di riflessione o di lavoro fino all’autunno. Applicai questa tattica fino alla fine del corso di studi e devo dire con buoni risultati; non mi sono annoiato e non sono scoppiato!
Donne, poche! Eravamo tutti innamorati di Irina ed io anche di Lorena che reputavo, a torto, irrangiungibile! Il giudizio si deve dare alla fine della vita e forse anche dopo!
Massimo era quel che si dice un genietto, con brillanti risultati negli studi e atteggiamenti da saputello in molte circostanze; buon conoscitore della musica rock e momenti di abbandono totale a mitiche ubriacature di cui scontavo le conseguenze con sonori rimproveri da parte di sua madre che, anziché sgridare lui, se la prendeva con me che ero savio e già da allora “crocerossino”, e poi, si sa, non è mai colpa dei figli ma delle cattive amicizie! Con in testa poche idee ma confuse sull’oriente, sui figli dei fiori, sul “viaggio”, trent’anni dopo Jean-Louis Lebris de Kerouac, meglio noto come Jack Kerouac ci mettemmo sulla strada!