domenica 8 giugno 2008

L’arrivo in Afghanistan: Herat



La capitale dei timuridi di Tamerlano, ai piedi del Paromiso ci accolse con la sua essenzialità fatta di case di fango, fogne a cielo aperto, che uscivano dalle case come un torrente solidificato dal caldo torrido e si riversano direttamente nelle strade polverose. Niente a che vedere con la mitica città ricca di minareti e bulbi turriti in turchese e lapislazzuli che era prima del 1885, quando gli inglesi consigliarono di distruggere moschee e palazzi per evitare che servissero da rifugio per i nemici russi. Restava solo la Masjid Jami languida visione di quella che fu una bellissima moschea.
L’impatto con la quotidianità fu abbastanza duro. Si giunse la sera con una certa fame. Con un piccolo gruppo di viaggiatori, dopo aver preso un alloggio per la notte, ci recammo presso un locale ristorante. In un’atmosfera buia e fumosa illuminata da poche candele, su un tavolo lercio, senza tovaglia, ci servirono una scodella di riso in cui affondavano per buoni cinque centimetri i pollici del cameriere, incurante di ciò, lasciando, non richieste, le sue impronte digitali; il tutto era condito con una salsa rossa di montone, di cui avevano dimenticato di togliere il vello! Il gusto non era male, la presentazione lasciava a desiderare!
Mangiammo, pensando a voce alta che l’indomani si tornava indietro: in fondo avevamo raggiunto l’ Afghanistan!
Con l’intenzione di prendere domattina il primo pulmann per il ritorno , andammo in albergo.
Parlando con altri viaggiatori, trovarono strano questo nostro atteggiamento di rinuncia dicendoci “solo per questo?” domattina cercheremo un posto più accettabile. Lo trovammo: Il nuovo ristorante era pubblicizzato con piscina; In effetti trovammo una piscina senza acqua, con il fondo ricoperto da una patina verdastra; i tavoli erano coperti da una tovaglia pulita, i pasti serviti in stoviglie apparentemente non inquinate dai pollici dei camerieri, i tovaglioli di stoffa lindi; ci assicuravano anche la potabilità dell’acqua che, a dire del gestore, era del pozzo di proprietà e di conseguenza pulito. Non ci fidammo e trattammo l’acqua con poche gocce di amuchina. Era già tanto e bastò a farci cambiare idea sul proseguire o meno il viaggio.
In passato Herat era una piccola località di provincia relativamente verde caratterizzata da un'atmosfera rilassante, un'oasi di tranquillità in cui cercare rifugio dalle fatiche del viaggio dall'arido deserto.
Nel XV secolo era il centro timuride dell'arte, della poesia, dei dipinti in miniatura e della musica, il luogo in cui le tradizioni della Persia, dell'Afghanistan e dell'Asia centrale si fusero dando vita a una delle massime espressioni culturali di questa parte del mondo.
L'antica cittadella risalente al 1305 è denominata quala. Il bazar coperto del Char Suq ospita negozi e botteghe di ogni tipo. Con una breve camminata dal centro si raggiungono i resti di un'antica madrasa (1417) costruita per volere della regina Gaur Shad. Moglie del sovrano timuride Shah Ruk e nuora di Tamerlano; Gaur Shad era una donna assai capace e riuscì a mantenere intatto l'impero per molti anni. Il suo mausoleo sorge accanto alla madrasa ed è una copia del Gur Emir di Samarcanda.
Ma tutto ciò non sapevamo e non vedemmo. La voglia di avventura ci spingeva con forza oltre, verso l’ignoto. Ripartimmo per Kaboul.

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