sabato 7 giugno 2008

La frontiera afghana



Il paesaggio desertico si srotolava sotto i nostri occhi, stanchi ma vogliosi di nuovi orizzonti, nuove genti. E poi, ci avvicinavamo all’Afghanistan, il mitico Afghanistan; L'Afghanistan era stato, per tutto il diciannovesimo secolo e nei primi vent'anni del ventesimo, l'irriducibile avversario dell'imperialismo britannico. Dopo la conquista dell'India, l'Inghilterra aveva pensato fosse altrettanto facile impadronirsi di questo aspro Paese stretto tra il Kyber Pass (che porta in Pakistan) e la frontiera con la Russia zarista. Ma gli afghani erano diversi dagli indiani. Non accettavano e non accettano imposizioni dall'esterno, e così come si erano opposti con le armi e con la guerriglia ai tentativi zaristi di sottomissione della loro terra, resero dura la vita agli inglesi, impegnati nelle tre guerre afghane del 1839-42, 1878-80 e 1919 e adesso la rendono dura alle truppe NATO, di cui l’Italia fa parte, fino ad ora con un ruolo militare di basso profilo, ma che, grazie al nuovo governo, si accinge a modificare le regole d’ingaggio in senso più aggressivo! Dal 1933 al 1973 L'Afghanistan è governato dal re Zahir Shah , uomo colto, che nel suo lungo regno , dà il voto alle donne, fonda la prima Università di Kaboul, riesce a mantenere neutrale il suo paese durante la seconda guerra mondiale e dà nel 1964 una nuova e moderna Costituzione all’Afghanistan trasformandola in una moderna democrazia. Ma dopo meno di 10 anni, nel 1973, suo cugino Mohammad Dao Ud, si impadronisce della Presidenza della Repubblica con l’appoggio dell’URSS;re Zahir è costretto a restare in Italia, dove si trovava per cure mediche.

Siamo, durante il nostro viaggio in piena presidenza Dao Ud, anzi ad esser precisi, nei giorni della nostra permanenza a Kaboul, si trovava in Pakistan in visita all’allora primo ministro Benazir Bhutto, di cui conosciamo la tragica sorte. Meno nota, ma altrettanto violenta, fu la sorte di Dao Ud, ucciso anche lui, nel 1978.
Nell’aria che si respirava in Afghanistan nel 1976 non si intravvedevano ancora gli avvenimenti che dal dicembre 1979 al febbraio 1989 portarono l'antico Stato musulmano a diventare il Vietnam della Russia; vi lasciarono la vita non meno di 14 mila soldati russi e almeno mezzo milione furono le vittime afghane. Ma quella guerra, non meno crudele di quella combattuta per vent'anni dagli americani in Vietnam, segnò per sempre il distacco e la irrimediabile contrapposizione tra il mondo islamico e l'impero sovietico, contribuendo forse al crollo di quest'ultimo, con la consacrazione ad eroe del comandante Massud. Gli afghani sono tutti musulmani, ma divisi tra sciiti (20%) e sunniti. Le lingue ufficiali sono il pashto, di origine indoeuropea, e il dari (di tronco persiano). L’etnia principale è quella pashtun, sunniti, che hanno praticamente dominato la vita politica del paese sin dall’inizio della sua indipendenza . Zahir Shah e il mullah Omar sono pashtun. La seconda etnia è tagika di lingua dari, e religione sunnita. Viene poi l’etnia Hazara concentrati nelle montagne, sciiti; seguono poi gli uzbeki, i kirghisi e i turkmeni; infine, etnie minori, sono gli Aimak, i Baluchi, i Braui e i Nuristani.
Lasciata la frontiera persiana, dopo qualche chilometro di polverosa terra di nessuno, ci apparve il miraggio della frontiera afghana: una stalla non di lusso, tutt’altro; tutto era cadente; i muri, i pavimenti, i pochi mobili d’improbabili uffici di frontiera, con altrettanto poco credibili militari, con divise spaiate, fucili che sembravano provenire da una guerra d’altri tempi ed un ufficio cambi che per pochi dollari ci riempì di mazzette di piccole simpatiche banconote d’afghani. Il cambio era di 18,52 lire per 1 afghano. Il clima era molto più rilassato ed anche noi lo eravamo. Sbrigate le formalità di frontiera salimmo su un cadente minibus; il copilota tirò fuori un pezzettino d’afghano nero, che riscosse un successo enorme tra i passeggeri: eravamo davvero in Afghanistan e già pregustavamo i piaceri del viaggio in oriente. Era il 21 agosto 1976.

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